Covid e fertilità maschile: facciamo chiarezza.

Prof. Fabrizio Iacono
Urologo e Andrologo
Professore Associato di Urologia - Federico II .Napoli

Sono molteplici gli articoli sul web o sui settimanali di informazione che pongono in relazione l’infezione da SARS COV 2 con l’insorgenza di infertilità maschile.

Una delle teorie più accreditate riguardo il virus è che esso utilizzi un enzima chiamato ACE2 come recettore per entrare nelle cellule dell’organismo.
Reis et al. già nel 2010 confermarono la presenza di ACE2, nei testicoli in particolare nelle cellule di Leydig e Sertoli.
Anche se l’espressione testicolare di ACE2 può indicare il possibile ingresso del virus nei testicoli, la letteratura riguardante la SARS-CoV non è coerente e concordante.
Infatti, sono stati pubblicati 6 studi clinici (per un totale di 82 pazienti) in cui si è indagata la presenza del virus a livello del liquido seminale in soggetti colpiti da infezione da covid. Li et al, in particolare, hanno riscontrato la presenza del virus SARS COV 19 nel seme di 6 pazienti su 38 controllati.

Un solo studio ha analizzato l’impatto del virus ed eventuali alterazioni dello spermiogramma. Gli autori tedeschi hanno arruolato 20 pazienti che sono stati colpiti dal virus e confrontati con 14 volontari sani. Inoltre, gli stessi autori hanno classificato i pazienti in base alla gravità della malattia che li ha colpiti. Ebbene i pazienti con infezione moderata avevano una più bassa concentrazione spermatica e una motilità degli spermatozoi inferiore rispetto a soggetti che erano stati colpiti da una infezione lieve e paucisintomatica.

Di contro, uno studio italiano del 2021 pubblicato su Journal of Basic and Clinical Physiology and Pharmacology non ha riscontrato la presenza del virus nel liquido seminale ed inoltre , non è stata rilevata alcuna differenza nella qualità dello sperma tra i pazienti con SARS-CoV-2 lieve e moderata.

Si è ipotizzato che l’infezione da COVID possa influire anche sulla produzione di alcuni ormoni sessuali quali il testosterone, l’ormone follicostimolante (FSH) e l’ormone luteinizzante (LH) deputati al controllo della fertilità nel maschio.

Ebbene, uno studio cinese ha riscontrato che nei pazienti guariti sono stati osservati livelli sierici di ormone luteinizzante (LH) significativamente aumentati e il rapporto testosterone/LH e ormone follicolo stimolante/LH diminuito rispetto ai soggetti sani. Inoltre, il rapporto testosterone/LH nei pazienti COVID-19 era associato negativamente con la gravità della malattia (p=0,0236), con la concentrazione di transaminasi aspartato (p=0,0287) e con i livelli di proteina c-reattiva (CRP) (p<0,0001).

Un altro studio tedesco ha riportato che la maggior parte degli uomini con affezione COVID-19 aveva bassi livelli di alcuni ormoni sessuali (testosterone e diidrotestosterone) . Questi risultati suggeriscono che l’ipogonadismo ( bassa produzione di ormoni sessuali ) può essere considerato un fattore di rischio per la COVID-19, portando a una maggiore morbilità e mortalità.

Analizzando nel complesso la letteratura scientifica fin qui disponibile è possibile affermare che il virus SARS COV 2 può generare, anche se non in tutti i pazienti colpiti dal COVID, una orchite ( infiammazione del testicolo) virale sintomatica o asintomatica con infiltrazione infiammatoria del tessuto testicolare che puo’ distruggere i tubuli seminiferi che producono spermatozoi alterando i parametri seminali e incrementando la frammentazione del DNA. Il danno del DNA degli spermatozoi li rende incapaci di fecondare . Ne deriverebbe, quindi, una ridotta fertilità o infertilità.

Inoltre, seguendo la curva pandemica in cui vi è un incremento significativo di soggetti colpiti dall’infezione inizialmente in maniera lieve ma che sono soggetti successivamente alla cosiddetta sindrome di “Long Covid”, l’attenzione da parte della comunità scientifica riguardo gli aspetti della riproduzione maschile deve essere sempre alta al fine di poter prevenire eventuali alterazioni e problematiche sulla possibilità di un successivo concepimento.

Al momento non sono presenti in letteratura studi riguardanti eventuali farmaci o sostanze da assumere per prevenire gli effetti deleteri della infezione da Sars-Cov 2 sulla fertilità maschile. Ovviamente, così come per tutte le altre affezioni virali che colpiscono lo sperma vi si immagina un aumento dello stress ossidativo nei tubuli seminali e quindi si potrebbe ipotizzare un concreto effetto protettivo di alcuni antiossidanti.

È doveroso sottolineare, infine, che il vaccino contro il COVID non causa alcuna di queste alterazioni. Lo stesso ministero della Salute e L’organizzazione mondiale della sanità sottolineano che non vi sono al momento evidenze e correlazioni fra il vaccino a mRNA e l’insorgenza di infertilità negli uomini.

 


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